Già all’università un percorso di formazione manageriale forgia il carattere dei dirigenti di domani
Da tempo l’Osservatorio monitora il mondo dei rapporti tra le aziende e gli atenei, per conoscere lo stato dell’arte nella complessa dinamica della selezione di nuove risorse. In questo numero abbiamo focalizzato l’attenzione sui criteri per l’assessment e il placement dei giovani laureati. In quest’ottica l’Osservatorio ha  intervistato Davide Tarlazzi, coordinatore e responsabile del progetto formativo “Skills & Behaviour” al Libero Istituto Universitario Carlo Cattaneo di Castellanza (LIUC). Il docente ci ha illustrato il progetto che dirige da oltre 6 anni, svelandoci la filosofia e gli obiettivi che lo muovono. Ecco cosa ci ha detto.

Manager non si nasce, si diventa. Di più: da manager, ci si comporta. E chi pensa si tratti solo di una questione di etichetta, è meglio che torni a studiare.


Certamente la formazione della classe dirigente di domani è una questione di preparazione e di know-how. I giovani universitari arricchiscono i loro percorsi di studio con esami teorici e tecnici. Ma i due pilastri del cursus honorum, ovvero nozioni e abilità, da soli non bastano. Per tenere in piedi una solida formazione manageriale, serve un terzo elemento. Serve il carattere.
“Accanto al sapere e al saper fare, conta l’atteggiamento” spiega Davide Tarlazzi, coordinatore e responsabile del progetto formativo “Skills & Behaviour” al LIUC di Castellanza, in provincia di Varese.


Dal 2005 Tarlazzi insegna agli studenti che “essere manager” significa innanzitutto comportarsi come tale. Con la forma mentis, la socialità e la consapevolezza di un dirigente d’azienda. “Il nostro compito è quello di completare la gamma dei saperi – ragiona il docente – in modo che alla fine del loro percorso universitario, i laureandi possono dire ‘Ho studiato, ma mi sono anche formato”.

E allora ecco la sfida del LIUC: fare formazione – quella aziendale, per intenderci – già in ateneo. Il progetto si articola in 3 percorsi. Sono pensati per il primo, il terzo e il quinto anno di frequenza universitaria. Per le matricole, lo step da raggiungere è quello della relazione: riconoscersi all’interno di un gruppo. “Una formula ideale è l’Outdoor Training Experience – spiega Tarlazzi-, una simulazione che favorisce forme di interazione all’interno di un team organizzato”.

Al terzo anno di corso, invece, gli studenti sono pronti per il passo ulteriore, ovvero la leadership. Mediante esercizi di problem solving, o di sviluppo del pensiero creativo, i ragazzi imparano l’arte della negoziazione: chiave che apre le porte del ruolo di comando. “In questa fase utilizziamo anche metodologie inconsuete come i giochi di ruolo, o modelli di leadership nel mondo dell’arte”, racconta il responsabile del progetto.

Infine, gli studenti del quinto anno vengono “addestrati” per lo scoglio più difficile: l’ingresso nel mondo del lavoro. Grazie a dei moduli pensati per piccoli gruppi, messi alla prova per un giorno intero, si riproducono i criteri e le dinamiche di una selezione del personale. In pratica, si insegna come scegliere ed essere scelti.

Il metodo “Skills & Behaviour” funziona. I dati dell’ufficio placement di LIUC, suddivisi tra le diverse facoltà dell’ateneo (economia, ingegneria e giurisprudenza) dimostrano che il giovane laureato, in meno di due mesi, trova un’occupazione e, in almeno un caso su due, già lavora stabilmente. Secondo Tarlazzi le qualità di un manager con una buona formazione alle spalle sono due: la flessibilità e l’equilibrio tra personalità e competenze: “Un buon dirigente d’azienda sa adeguarsi ai contesti che cambiano – afferma il docente – con la prontezza e la lucidità necessari. Ma per essere flessibili occorre prima di tutto essere persone, diciamo così, a tutto tondo. Solo la ricchezza di un profilo formato, maturo, garantisce quella completezza che si richiede ad un manager di successo”.

La sfida della formazione “aziendale” in Università rappresenta insieme una soluzione e una scommessa. Il progetto guidato da Davide Tarlazzi intende infatti colmare un gap che senza dubbio esiste in molte giovani promesse italiane. E’ quello della preparazione “incompleta”: un giovane laureato che entra in azienda ha le sue competenze tecniche, ma deve ancora imparare a spenderle all’interno della realtà di lavoro. In altre parole il neoassunto è bravo, ma non sa relazionarsi. Di qui l’idea di formarlo a trecentosessanta gradi.

Intervenire dunque sulla “cassetta degli attrezzi” di un manager alle prime armi, fornendogli davvero tutti gli strumenti compresi quelli comportamentali, significa puntare dritto sulle sue qualità umane, in qualche modo indirizzate verso un “must caratteriale” che si dimostrerebbe vincente in ogni contesto. Alle aziende spetterà poi il compito di valorizzarlo e accrescerlo. La scommessa è chiara: mandare in campo futuri leader già pronti per giocare in serie A. Sperando che l’allenatore li tenga in partita sin dal primo minuto.
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