Welfare integrativo e benessere aziendale

Ho avuto il piacere, qualche giorno fa, di parlare con il Direttore del Personale di un’importante azienda milanese, persona intelligente e visibile, che sa recepire i trend del mondo aziendale, il quale mi evidenziava come oggi un tema all’attenzione delle aziende sia il “benessere organizzativo”.

Le aziende (ma quali? di quali dimensioni? di che tipologia?) sembra stiano riscoprendo quegli elementi accessori della retribuzione che costituiscono facilitazioni nella vita quotidiana dei dipendenti, sostituendosi o integrando aspetti di welfare altrimenti propri delle istituzioni pubbliche.

In termini tecnici si può parlare di perquisites, e la loro caratteristica principale è di essere usufruibili non da categorie specifiche, sovente manageriali (i benefits dei dirigenti …) ma dall’intera popolazione aziendale. Le aziende si fanno carico dei bisogni primari, concedendo agevolazioni in generi di prima necessità e servizi.



Grande risonanza, in questo senso, ha avuto ultimamente il contratto Luxottica, anche se, vi sono altre esperienze significative, forse meno pubblicizzate, come quella della Tci, leader mondiale nell’elettronica per i led, il piano welfare di ATM, i piani welfare aziendali di Intesa San Paolo, di Tironi e Sacmi, l’asilo nido Ferrero. Questi progetti prevedono previdenza integrativa; assistenze socio-sanitarie integrative; integrazione delle prestazioni economiche spettanti in materia di maternità e paternità; polizze vita; assistenza e sostegno delle famiglie e dei lavoratori per particolari esigenze di tipo formativo, culturale, per il tempo libero, per l’uso di mezzi aziendali e per il trasporto in determinate occasioni, l’asilo nido, la palestra, le borse di studio etc. o anche la possibilità per il dipendente di acquistare i servizi in modo fiscalmente agevolato o con sconti dati da convenzioni.


Ad aprile, per esempio, apparve la notizia che le Ferrovie francesi, Sncf, avessero annunciato la creazione di asili nido in alcune stazioni ferroviarie, per facilitare i genitori pendolari.
In questi contesti la funzione sociale delle imprese tende ad ampliare l’intervento del pubblico.  A nostro merito (italiano) va ricordato che nel 2003, l’allora Ministero del Welfare aveva allo studio lo standard CSR-SC (Corporate Social Responsability) con il supporto dell’Università Bocconi.


Uno degli obiettivi dello studio (forse il principale) era di offrire una proposta italiana per uno standard sulla Responsabilità Sociale delle Imprese, su base volontaria, in alternativa ad analoghe proposte presentate dall’Unione Europea (di carattere cogente). In questo modo non sarebbero state penalizzate le aziende appartenenti a nazioni dell’area mediterranea, rispetto alle aziende del Nord Europa, storicamente più sensibili alle dinamiche della Responsabilità Sociale. Lo standard si basava sul principio dell’autovalutazione e avrebbe dato all’azienda la possibilità di promuoversi come socialmente responsabile e godere di alcuni vantaggi fiscali attraverso incentivi fiscali e contributivi, erogazione di fondi, semplificazioni amministrative, premi annuali, etc. per le azioni di responsabilità sociale intraprese. Di quella proposta di incentivazione per le aziende mi sembra se ne siano perse le tracce. Altre urgenze si sono sovrapposte, altre priorità politiche, altre priorità economiche.


Va riconosciuto che quelle aziende che oggi intraprendono la strada di un comportamento socialmente responsabile contribuiscono non solo a creare e sostenere l’immagine, ma anche a migliorare i rapporti con tutti gli interlocutori dell’impresa, il personale in primis, e, più in generale, tutti gli stakeholders.


Il rispetto dell’ambiente, della comunità in cui si opera, della tutela degli individui, si coniuga, anche intuitivamente, con la capacità delle aziende di gestire engagement e retention, offrendo ambienti di lavoro sani, stabili, capaci di offrire supporto e facilitazioni ai dipendenti.


Va, però, sottolineato che il benessere organizzativo non è un concetto che può essere relegato ai servizi che si offrono ai dipendenti. Rimane centrale la capacità dell’organizzazione di presidiare gli elementi della gestione individuale e del clima, che travalicano i bisogni primari e che certamente rendono più articolato e complesso il tema del benessere organizzativo e dello sviluppo degli individui.
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