La nostra intervista a Francesco Marcaletti
Continua l’inchiesta del nostro Osservatorio, sul tema dei lavoratori senior over 50. Una questione quanto mai attuale nel mondo dell’impresa, che deve essere in grado di motivare ed organizzare al suo interno il lavoro di questa particolare categoria di dipendenti. Abbiamo intervistato a questo proposito il professor Francesco Marcaletti, ricercatore associato nella Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica di Milano.

 


Quale quadro possiamo tracciare, oggi, sulla situazione lavorativa dei lavoratori over 50 in Italia?
Il tasso di occupazione dei 55-64enni nel nostro paese, nell’ultimo anno, è cresciuto di ben due punti e mezzo. L’Istat ha da poco rilasciato i dati relativi alle medie annuali 2012, e di nuovo, nonostante il perdurare della crisi economica e occupazionale, l’unico indicatore in crescita, guardando alla distribuzione per età, si conferma quello associato ai cosiddetti “lavoratori anziani”. È grazie a questo incremento degli occupati relativamente più anziani che il tasso di occupazione totale, riferito ai 15-64enni, è rimasto a galla, passato dal 56,9% del 2011 al 56,8% del 2012. Nel 2003, il tasso di occupazione dei 55-64enni nel nostro paese era del 29,4%. Con il 2012 l’indicatore ha raggiunto il 40,4%, guadagnano 11 punti in un decennio, con una progressione costante, mantenutasi appunto anche nel corso degli ultimi difficili anni, e anzi rafforzatasi, se è vero che nell’ultimo passaggio l’incremento è stato appunto di 2,5 punti. Ben prima che il prodotto delle ripetute riforme previdenziali e dei conseguenti innalzamenti delle età di pensionamento, la dinamica in atto è conseguenza di un potente effetto coorte, ancor più visibile considerando la dimensione di genere. Tra gli uomini tale effetto si manifesta esclusivamente con riferimento alla classe dei 55-64enni, che hanno tuttavia visto incrementare l’indicatore, nell’ultimo anno, di 2,0 punti (dal 48,4% al 50,4%), meno di quanto sia avvenuto nel caso delle pari età femmine, per le quali il salto è stato di 2,8 punti (dal 28,1% al 30,9%). Per le donne, l’effetto è visibile anche nella classe di età precedente, quella delle 45-54 enni, gruppo che anch’esso ha fatto registrare un incremento del tasso di occupazione di 1,1 punti nell’ultimo anno (dal 58,4% al 59,5%), mentre i pari età maschi hanno subito un calo di 1,4 punti (dall’86,4% all’85,0%).
Come motivare questa categoria di lavoratori all’interno delle aziende?
In primo luogo va osservato che gli over 50 all’interno delle aziende non necessariamente sono da considerare animati da bassa motivazione. Al contrario, guardando anche ai risultati che emergono dalle poche surveyche dedicano specifica attenzione al fattore età all’interno delle organizzazioni di lavoro, sono spesso gli over 50, insieme ai più giovani, a riferire di un forte commitment, di una migliore capacità di adattamento, nonché di una valutazione tendenzialmente più positiva circa le politiche e le performance organizzative. Questo è probabilmente vero per molti ma certamente non per tutti, anche in relazione agli ambiti professionali e ai concreti contesti lavorativi. E la chiave di volta per mantenere elevati gli standard in termini di motivazione, oltre che di prestazione, non può che risultare da un mix di elementi, che andrebbero implementati in accordo al crescere dell’anzianità e all’avvicinarsi alla transizione al pensionamento. Come diverse esperienze aziendali realizzate hanno dimostrato, gli ingredienti di tale mix vanno dalla formazione all’organizzazione del lavoro, alla salute, al trasferimento di conoscenza, alla valutazione. Molte delle pratiche sviluppate a livello europeo hanno iniziato a introdurre aspetti che rafforzano, proprio in ragione dell’età del lavoratore, le occasioni di dialogo – in alcuni casi è definito esattamente nei termini di senior dialogue – tra dipendente e management.
 Quale valore aggiunto possono portare gli over 50?
I senior hanno a lungo rappresentato, e continuano tutt’oggi a rappresentare, una preziosa risorsa per le aziende, sia in quelle di grandi dimensioni, sia, ancora di più, in quelle di minori dimensioni, dove i lavoratori più anziani e più esperti hanno spesso condiviso e accompagnato l’avventura imprenditoriale insieme al proprio datore di lavoro. Non bisogna dimenticare che le imprese di maggiori dimensioni hanno sempre implementato politiche volte al riconoscimento del valore dell’anzianità di servizio, ovvero un altro modo di dire commitment, il suo sedimento, quelle che per l’appunto un tempo venivano chiamate politiche di “anzianato” in azienda. Il valore aggiunto dato dall’esperienza dei lavoratori senior è innegabile, praticamente in qualsiasi ambito professionale. Dal corposo e per molti aspetti incompiuto dibattito scientifico sul rapporto tra invecchiamento e performancelavorative, emerge che, sebbene vi siano prestazioni che si riducono al crescere dell’età anagrafica – quelle che richiedono sforzo fisico e quelle che implicano l’utilizzo della cosiddetta memoria fluida, ovvero la capacità di elaborare informazioni in grande numero e in tempo reale – l’effetto di compensazione che l’expertise eserciterebbe sarebbe in ogni caso sufficiente a colmare il gap che man mano va formandosi.
Proprio quest’ultimo aspetto, ovvero l’expertise di cui sono portatori i lavoratori over 50, rappresenta il loro vero valore aggiunto. Ne sa qualcosa chi, nell’ambito di ristrutturazioni aziendali, con troppa disinvoltura si è disfato dei lavoratori più anziani immaginando in questo modo di liberarsi di quello che comparativamente, se messo in relazione al salario di un giovane in ingresso, rappresenta certo un costo superiore, per ritrovarsi, tuttavia, nel medio periodo a sostenere costi indiretti, dovuti a errori, inesperienza, peggioramento della qualità dei prodotti e dei servizi, ben superiori al risparmio ottenuto nel breve periodo.
Come organizzare il lavoro degli over 50 e con quali criteri all’interno di un’azienda?
Naturalmente, dipende molto dal settore e dai profili professionali. Un conto sono i cantieri e gli stabilimenti, un altro sono gli uffici, le aule, i laboratori, giusto per fare degli esempi. Nelle pratiche virtuose si assiste comunque sempre a un adeguamento dei carichi di lavoro in relazione all’avanzare dell’età, ad aggiustamenti che riguardano, per esempio, i turni in chi è comunque chiamato a lavoro notturno, nonché a un rafforzamento di tutte quelle soluzioni ergonomiche che possono intervenire nel compensare il ridursi di alcune capacità, come per esempio vista o udito. In altri casi la riduzione dei carichi, ma anche dei tempi stessi di lavoro, procede di pari passo con l’avvicinarsi della maturazione dei requisiti per il pensionamento, anche per rendere la transizione stessa un evento meno traumatico. L’expertise dei lavoratori più anziani è sì un valore aggiunto, ma risulta anche molto difficile da trasferire, sia per sua natura, sia anche per resistenze nei seniorstessi. Per quanto la retorica del mentoring, del coaching, delle staffette generazionali, sia ormai ampiamente diffusa, in realtà attivare dei processi virtuosi di trasferimento della conoscenza e dell’esperienza tra categorie di lavoratori di età significativamente diverse non è una delle pratiche più semplici.
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