Come gestirle in modo efficace?

È di estrema attualità in questi giorni il dibattito sull’accoglienza e le forme di integrazione di stranieri in Italia.
Si contrappongono in questo dibattito visioni diverse che sono state ben sintetizzate dal Sindaco di Domodossola, che ha auspicato locali separati per accogliere e vaccinare bambini italiani e non italiani nella ASL e dal Presidente dell’INPS che ha sostenuto come solo la presenza di lavoratori stranieri possa consentire di rendere sostenibile il carico contributivo dei lavoratori italiani nel futuro.

Una ricerca recente svolta presso circa 170 aziende del territorio nazionale che operano in diversi settori merceologici, ha mostrato che più del 70% delle aziende ha tra i propri dipendenti nazionalità straniere. Dalla ricerca emerge con chiarezza che la compresenza di differenti etnie è un dato consolidato in numerosi settori e le nazionalità più presenti sono quelle europee: rumena, albanese, ucraina, polacca. Tra le nazionalità non europee il primo Paese rappresentato è il Marocco, a cui seguono la Cina, le Filippine, l’Equador, il Perù, l’Egitto, il Senegal. Questo personale svolge per lo più mansioni di tipo esecutivo generico, nel 33% dei casi, impiegatizio nel 25% dei casi, esecutivo specializzato nel 15% dei casi, ma non manca un 10% di quadri e manager e un 4% di alti dirigenti. In questa survey sono state registrate organizzazioni con all’interno 34 nazionalità e più del 15% della popolazione aziendale costituita da stranieri.

Differenza etnica, culturale, religiosa

Si configura dunque una situazione di marcata presenza interculturale, in contesti aziendali di fatto internazionali, anche nel caso di aziende a proprietà italiana, dove la presenza di personale non italiano e il suo impiego specifico varia a seconda del settore e del prodotto. Interessante notare come le difficoltà maggiori che le imprese hanno dovuto affrontare, e affrontano, sono legate alle difficoltà linguistiche e a qualche incomprensione tra colleghi.

Ne deriva che le azioni messe in campo per gestire l’integrazione culturale sono per lo più legate a corsi di lingua, alla assistenza nell’espletamento di pratiche amministrative, alla flessibilità degli orari.

Di fatto la maggior parte delle aziende è interessata a offrire uguali opportunità di lavoro a prescindere dalla conoscenza dei differenti background culturali, etnici o religiosi.

Per molte di queste aziende, la presenza di personale straniero è giunta oramai alla seconda generazione e quindi è stata sviluppata molta esperienza che ha consentito di massimizzare i processi di integrazione e rendere efficiente e produttivo l’utilizzo di personale straniero. In particolare:

  1. Difficoltà linguistiche e scolarizzazione bassa sono state superate semplificando i processi di lavoro e fornendo procedure multilingue.
  2. Valori culturali differenti e stili di comunicazione diversi, che potevano rendere difficile la comprensione e la fiducia reciproca, sono stati affrontati con interventi di interscambio, meeting, piattaforme di knowledge management, corsi ai capi.
  3. Sempre per affrontare questi temi, in altri contesti, molto ha fatto la presenza di mediatori culturali in fabbrica.
  4. Usanze religiose diverse hanno portato a pacchi di Natale differenziati, a distribuire le persone su turni di lavoro diversi, in modo da consentire la gestione di periodi come il Ramadan.
  5. La necessità di avere periodi di ferie lunghi, per raggiungere parenti in Paese lontani, sono state superate con accordi sindacali sui periodi di ferie.

Azioni per gestire differenze

In generale, anche il racconto di molte di queste esperienze fatte dai protagonisti, ha evidenziato come sia necessario andare oltre i luoghi comuni e che la differenziazione e la contaminazione tra diversità abbia alla lunga portato benefici alle organizzazioni e alle persone.

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