Quando un’azienda decide di realizzare un evento, una trasformazione dell’attività routine, possiamo parlare di innovazione se tale evento o trasformazione implica la realizzazione di azioni o attività mai sperimentate prima.
Legacy è il nome dato alla summa delle esperienze che un’innovazione ha comportato in una organizzazione, o anche la totalità delle esperienze di una organizzazione durante un certo periodo di tempo.  Così possiamo parlare di legacy
della Bauhaus, della legacy dell’organizzazione che ha curato le Olimpiadi di Pechino, o della NASA che ha portato uomini sulla luna. Essa è un asset di un’azienda, o degli uomini e donne che la compongono.  La legacy è spesso ritenuta intangibile, in quanto è know-how, esperienza e saggezza. 

Innovare significa uscire dalla routine e trasformare le abitudini che guidano la maggior parte delle attività quotidiane di una organizzazione. Questo è un atto che non tutti apprezzano, e la difficoltà nell’innovazione consiste non nella difficoltà delle attività stesse, ma nel dover o voler cambiare le procedure o le abitudini a cui siamo assuefatti.
L’innovazione quindi comporta la consapevolezza di fare qualcosa di nuovo, di mai fatto in quelle stesse condizioni prima, e tale consapevolezza può essere percepita come qualcosa di piacevole o di fastidioso, di pesante. L’atteggiamento verso tale consapevolezza determina spesso la facilità o difficoltà dell’organizzazione di intraprendere grandi o piccoli cambiamenti nella sua attività. 
Un altro aspetto importante del tema consiste nella percezione ed atteggiamento verso l’esperienza acquisita o in via di acquisizione. Se stiamo sviluppando un programma di qualità, di Six Sigma o un nuovo prodotto o servizio, come organizzeremo la creazione di conoscenza che si accompagnerà alla nostra attività di sviluppo? 
Questo costituisce il tema della legacy che va affrontato da prima dell’inizio delle attività, e non solo dopo il compimento del progetto o programma, quando può essere troppo tardi raccogliere ed organizzare l’esperienza delle persone e dei teams che hanno sostenuto l’attività di progettazione o di miglioramento. 
Per esempio, se un progetto di nuovo prodotto o servizio viene affrontato da un gruppo di progettisti, unito ad altri provenienti da aree aziendali quali il marketing, la produzione, la distribuzione, come organizzeremo la diffusione o la sistematizzazione dell’esperienza e della conoscenza che è sempre il by-product del progetto?
Il tema della legacy costituisce da sempre, in modo esplicito o implicito, il tema del capitale intellettuale ed umano, che spesso viene valutato troppo imponderabile per essere espresso in dati concreti, ma esistono alcuni indici, quali il numero dei brevetti depositati in un anno dall’azienda, piuttosto che il numero delle collaborazioni di know-how richiesti da altri, che suppliscono alla mancanza di una procedura sedimentata come il bilancio contabile.  
La possibilità di attingere direttamente dalle persone implicate la loro esperienza è un asset intangibile che non sempre siamo pronti a capitalizzare. Le ricerche di vari accademici, quali il prof Nonaka della Hitotsubashi University di Tokyo, ci aiutano a distinguere metodi di passaggio di esperienza da singoli individui ai gruppi e poi a tutta l’organizzazione che ne trae beneficio.  Si chiama SECI il modello di Nonaka, dall’iniziale dei processi di passaggio di conoscenza ed esperienza: Socializzazione, Esternalizzazione, Codifica e Interiorizzazione.*
A ciascun processo corrisponde una attività di scambio di conoscenza basata sull’esperienza individuale iniziale, in cui il primo agente comunica, ovvero socializza ad altri (si pensi all’apprendistato o all’On-the-Job-Training) il proprio sapere e saper fare.
Ciò che è stato socializzato va poi esternalizzato e codificato, ovvero reso sistemico  nelle procedure operative di quell’azienda, consentendo di attingere alla conoscenza senza dover ogni volta richiamare la persona iniziale o il gruppo che aveva acquisito la prima esperienza.  L’ultima fase, l’interiorizzazione, comprende la capacità di apprendimento dei membri di tutta l’organizzazione nell’internalizzare la conoscenza e le capacità introdotte nel processo e diventare abile come i primi nel compiere le stesse attività. 
Si pensi alla capacità di un’addetta alle vendite su un treno: l’esperienza giapponese ha mostrato che vi possono essere varianze anche molto significative nel volume di vendita durante una singola corsa di un treno, dal punto A al punto B, di qualche centinaio di chilometri.  La venditrice migliore, spingendo un carrello pieno di snack e di bevande, compiva anche cinque volte il tragitto di andata e ritorno lungo le vetture del treno, mentre le venditrici peggiori ne facevano sono un paio, ma soprattutto il modo di percepire il bisogno dei passeggeri di acquistare il cibo e le bevande costituiva la differenza, oltre ai piccoli miglioramenti come preparare il resto in tasca prima ancora che il passeggero tiri fuori la banconota.  Levenditrici migliori sono quelle che nel primo giro osservano i potenziali clienti ed intuiscono che vi sono possibilità, tanto da offrire attivamente il prodotto anche personalizzando la vendita. Si narra di una venditrice così brava nella percezione che le si attribuivano anche un paio di occhi dietro la testa per vedere gli sguardi dei passeggeri dopo che lei era passata con il carrello.
Il compito che abbiamo consiste nell’organizzare e pianificare il passaggio di esperienza dai migliori o dai primi in ordine di tempo agli altri, e soprattutto nel motivare questo passaggio, che rischia altrimenti di disperdersi rapidamente nel flusso delle altre attività ed esperienze che l’organizzazione affronta tutti i giorni.  La motivazione ed il coinvolgimento sono ancora una volta il punto critico.
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