Una ricerca dell’Osservatorio Bocconi traccia la mappa della tv in azienda
Aumentano i canali
Più sperimentazione e più pubblici


Esiste un momento nella storia degli individui in cui viene rotto l’equilibrio e una spinta inerziale si fa a favore di una parte. E’ un momento che implica una rottura di sistema. Uno studio americano del 2000 l‘ha apostrofato come “tipping point”. Ed è una fase di non ritorno. Nell’evoluzione della comunicazione aziendale questo “tipping point” è stato forse raggiunto molto di recente. Causando un entusiasmo esponenziale nei confronti delle tecnologie digitali. Ora si vive, invece, una fase più consapevole. Di riflessione; e in azienda ci si divincola tra la polarità positiva dell’uso (o abuso) degli strumenti digitali e quella negativa di una temuta (e forse raggiunta) overdose comunicativa.

In Italia i comunicatori d’impresa si interrogano sul fenomeno. Ragionando sulle business tv, ovvero le tv aziendali che trasmettono per i tele-dipendenti. Da un anno lo fanno nei lavori dell’Osservatorio creato in Bocconi. Partecipano al network quattordici realtà  d’eccellenza che fanno della tv uno strumento di comunicazione interna e (sempre più spesso) esterna. Sono i comunicatori di Allianz Ras, BNL, Cariparma, Costa Crociere, Epson, Gewiss, Magneti Marelli, Mediolanum, Pirelli Re, Sia, Technogym Telecom, Vodafone, Tre. Rifletteranno il prossimo 16 aprile, proprio in Bocconi, nel secondo workshop sulle business tv. Al centro della giornata l’analisi di una corposa ricerca dedicata all’uso del video in azienda. Una mappa concettuale che getta luci (e qualche ombra) sul fenomeno. La ricerca punta i riflettori su ben 320 imprese. Il quadro che ne emerge evidenzia come il mezzo tv in azienda sia ancora relativamente nuovo, in forte espansione e più versatile. Lo strumento piace. Anche se con quale riserva rispetto al passato e con budget sempre più contenuti.


Le business tv sono diventate presenza costante anche nel nostro paese. Ad oggi la mappa ne annovera una quarantina, dislocate soprattutto del comparto dei servizi. Il trend è in crescita anche nelle piccole industrie. E’ stata Mediolanum ad implementarla per prima nel 1989, seguita poi da Enel e dall’attuale Intesa San Paolo nel 2002. Sono seguiti poi i canali del settore assicurativo e bancario e i colossi telefonici. La ricerca documenta come solo nel 4% delle aziende la tv sia nata prima del 2000. Il 22% l’ha introdotta a cavallo tra il 2000 e il 2004. Addirittura il 48% ha implementato questo servizio tra il 2005 e il 2006, mentre un restante 26% ci sta lavorando soltanto ora.
Ad oggi le tv si moltiplicano, proponendo tecnologie differenti a seconda dei pubblici da intercettare. Perché l’obiettivo è raggiungere la testa (e soprattutto il cuore) del tele-dipendente. Emozioni d’impresa in pixel, trasmesse dall’Intranet per i collaboratori dislocati geograficamente anche molto lontano. Deve essere per questa ragione che nel ’93 il neo-CEO di IBM Louis Gerstner, in una convention che avrebbe dirottato l’azienda verso un cambio epocale, dialogò proprio attraverso la tv aziendale. Riuscendo a raggiungere in modo capillare i propri collaboratori.

Nel nostro paese la tv è adottata dal 30% delle imprese italiane; le aspettative sono alte. Ecco spiegata l’attenzione ai pubblici esterni, rappresentata dal 20% delle tv. Il 40% dei canali è destinato ai collaboratori interni, mentre il 9% è rivolto ad un target intermedio costituito dalla rete vendita.
In alcuni casi nascono canali seriali con un modello organizzato di gestione, cioè con un palinsesto ricorrente. Ma le formule sono ancora frammentarie. Quasi la metà delle aziende predilige la comunicazione video solo in alcune occasioni, con l’immissione di singole clip tematiche.


La business tv informa, aggiorna, promuove, intrattiene, mette in condivisione i differenti pubblici dell’azienda, sempre più segmentati. Il suo ruolo è importante per un 33% e viene addirittura definito strategico al fine del business per un 9% degli intervistati. D’altronde l’analisi del Trust Barometer di PR Edelman evidenzia come la conversazione tra colleghi sia primaria per la reputation di un’impresa. Perché in fondo una persona come me è più credibile in America e nord-Europa. E in Asia è seconda solo ai medici.
Ecco allora che la tv aziendale cerca di far percepire il cuore pulsante dell’impresa, facendo spesso parlare i suoi pubblici. Anche se la comunicazione top-down – nonostante le spinte user generated content – si predilige e si ritiene più efficace. Affiorano, col tempo, le community di dipendenti che si legano tra loro grazie agli strumenti digitali.


Le scelte editoriali prediligono una programmazione in pillole: news, clip di comunicazione istituzionale, product e event review. Nel tempo la long version, tipica delle prime esperienze di business tv, ha lasciato il posto ad una modalità informativa fast-news, che riecheggia la rete. Per il 42% dei canali attualmente attivi i video non superano i tre minuti di durata. Nel 24% il video è incastonato in una forbice temporale compresa tra i tre ed i dieci minuti.


Si sperimenta ancora. Perché le strade da percorrere per intercettare l’interesse sono molteplici e ancora non del tutto battute. Ecco allora che divergono notevolmente le modalità di aggiornamento. I dati, però, evidenziano una comunicazione sempre meno invasiva, fatta di aggiornamenti mensili (20%) o settimanali (18%). La programmazione seriale quotidiana, quantificabile nel 17%, resta a stretto appannaggio solo di alcune business tv.
Su un concetto le aziende sono comunque concordi: la tv non sostituisce la comunicazione interna o gli altri strumenti di dialogo con gli stakeholders. Il video va a supporto dei media tradizionali. Per il 27%, infatti, la tv deve solo integrarsi; nell’ottica della sperimentazione affiora una maggiore consapevolezza dell’uso delle nuove tecnologie. Perché l’impresa deve comunque comunicare oltre il piccolo tubo catodico in formato pc.

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