01 Lug 2010

Morire di stress

France Télécom due anni dopo

 Spesso si associa lo stress all’idea di un malessere omnicomprensivo, un disturbo talmente generico da non essere nemmeno curato. Eppure il fenomeno stress da lavoro correlato è tutt’altro che un effetto collaterale di poco conto. E’ un disagio che parla di difficoltà esistenziali, di alienazione professionale, di mortificazione umana. E a volte, anche di suicidio. 
La sicurezza sul lavoro, lo sanno tutti, non è solo una questione di caschetto giallo in testa. L’attenzione all’equilibrio psicologico e al grado di soddisfazione di un lavoratore non è meno importante della sua incolumità fisica. Ma quanto è percepibile? Quanto è gestibile, monitorabile? Certamente ogni occupazione comporta fatica e con essa un sovraccarico di tensione mentale di cui fa le spese il sistema nervoso. Ma qual è la soglia di allarme oltre la quale la corda si rompe?

Gli esperti spiegano che lo stress da lavoro correlato è uno squilibrio che ha luogo quando il lavoratore non si sente in grado di corrispondere alle richieste avanzate dalla sua azienda. Il disagio in genere è accompagnato da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale, che possono raggiungere livelli anche seri. Secondo alcune stime, in Italia un lavoratore su tre afferma di soffrire di stress, tanto che oltre un giorno di malattia su due avrebbe come causa – diretta o indiretta – proprio questa patologia. La questione è talmente seria che un decreto legislativo, il n. 81 del 9 aprile 2008 (in particolare nell’art. 28 comma 1 “Oggetto della valutazione dei rischi”) si occupa di regolarne ambito, rimedi e sanzioni.
Per farsi un’idea del problema, e soprattutto per individuare delle possibili soluzioni, può essere utile osservare da vicino un precedente storico, accaduto di recente, di casi diffusi di stress da lavoro correlato all’interno di un’azienda. Parliamo del piano di mobilità dei dipendenti attuato dal gruppo France Telecom tra il 2006 e il 2008. Un provvedimento che fu all’origine di un tale malessere all’interno del personale dell’azienda da far registrare ben 44 suicidi tra i lavoratori francesi, in soli due anni.
“Tutto è nato con il piano di riordino della società cominciato nel 2002 per opera del supermanager Thierry Breton – spiega Luigi Mencarelli, consulente specializzato nel campo delle risorse umane e dell’accompagnamento del cambiamento, in Francia da molti anni – Il nuovo PDG era stato incaricato dal governo di Parigi di risanare le casse del gruppo, gravate da 70 miliardi di euro di debiti accumulati durante il settennato di Michel Bon: una gestione rimasta inguaiata nella bolla di internet e strozzata dalla politica di acquisizioni pagate “cash” per evitare ogni rischio di privatizzazione”.
L’uscita dall’indebitamento portava con sé l’amaro dato di fatto: 22 mila esuberi nel personale. Molti di questi erano fonctionnaires, ovvero impiegati pubblici intoccabili e con contratto blindato. E’ toccato a Louis Pierre Wenes, diventato direttore generale per la Francia sotto la presidenza di Didier Lombard, trovare il modo di far quadrare i conti con ogni mezzo.
E infatti il piano NEXT, da lui lanciato nel 2006 e chiuso nel 2008, raggiunse l’obiettivo di bilancio: debito ridotto del 25%, costi razionalizzati, numero dei dipendenti tagliato fino al 39% e dividendi recuperati. Ma il vero prezzo da pagare fu un altro.
Continua Mencarelli: “Cuore del piano NEXT era il famoso TTM, o Time To Move, il capitolo sulla mobilità del personale: una serie di strategie radicali di ristrutturazione delle risorse umane, che si rivelarono ben presto alienanti. Wenes imponeva ai lavoratori cambiamenti forti e repentini nei loro incarichi, incoraggiando di fatto i fonctionnaires a licenziarsi. La politica del Time To Move divenne il terrore dei dipendenti France Télécom, tanto che l‘acronimo TTM fu sarcasticamente ribattezzato Tire-Toi Maintenant, ovvero ‘togliti dai piedi subito”.
Chi non fu in grado di andarsene, ebbe vita dura.
In pochi mesi vennero chiusi, tra gli altri, diversi centri di assistenza tecnica, e i dipendenti furono costretti a trasferirsi in altre città del paese per svolgere mansioni totalmente nuove. Non furono pochi, ad esempio, i casi di tecnici e specialisti “riciclati” da un giorno all’altro nei call-center, con turni massacranti e obiettivi di vendita impossibili da rispettare.
Nel 2007 si iniziarono a registrare i primi suicidi: 17 in un solo anno. Subito Wenes dispose un’indagine interna, ma l’esito definì “fisiologici” quei casi. Perciò decise di non prendere provvedimenti malgrado le crescenti proteste dei sindacati. 
Il management di France Télécom insomma sottovalutò il fenomeno, e quando si rese conto dell’errore fu troppo tardi. Il numero di dipendenti che si tolse la vita l’anno seguente raddoppiò. Spinto dall’opinione pubblica, il governo Fillon pretese l’avvio di un’indagine sul clima organizzativo all’interno dell’azienda. Attraverso decine di migliaia di testimonianze, i lavoratori denunciarono gli enormi disagi del piano di mobilità e l’inadeguatezza della direzione delle Risorse Umane: lo stress da lavoro correlato stava logorando il capitale umano del gruppo. Nel 2009 altri 23 suicidi portavano a oltre 40 il numero di morti per “mal di lavoro”.
In pochi mesi furono sostituiti i vertici di France Télécom. Saltarono sia Wenes sia Lombard, sebbene quest’ultimo perse il titolo di Direttote Generale conservando la Presidenza non operativa. Via anche il Direttore delle Risorse Umane Olivier Barberot. Immediatamente furono individuate soluzioni per cambiare rotta al più presto.
Le scelte intraprese dalla gestione del nuovo DG Stéphane Richard furono sostanzialmente cinque:
  1. Sospensione di tutte le mobilità forzate, individuate come causa primaria del disagio.
  2. Riforma della gestione del personale. Da “mero contabile” a professionista del capitale umano, vera e propria interfaccia accessibile e dialogante per i dipendenti.
  3. Formazione continua e gestione attenta dei percorsi professionali dei dipendenti. Nuove regole per impedire situazioni lavorative “ingessate” e promozione contratti con spazi di evoluzione delle competenze.
  4. Nascita di “indicatori di disagio”, un sistema di feedback che registri eventuali condizioni di stress da lavoro correlato.
  5. Coaching di una nuova classe di manager in grado di gestire le aree più a rischio del gruppo. I dirigenti devono essere in grado di “sentire puzza di bruciato” prima che scoppi l’incendio.

 Il caso France Télécom è senza dubbio il miglior esempio negativo di come lo snaturamento di una gestione delle Risorse Umane, priva di sensori sulla qualità del lavoro, possa rivelarsi fallimentare. Gli aspetti relativi al grado di soddisfazione dei dipendenti di un azienda e ai possibili rischi di stress da lavoro correlato sono comunque un terreno ancora da approfondire, e forse mai preso abbastanza in considerazione. La strada è tutta da percorrere. Senza stress, ma con leale determinazione e un pizzico di umanità.
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