Polo Nord, piramidi e iPad
Michele Pontrandolfo, recentemente intervistato su perché avesse deciso di tentare la traversata in solitaria verso il Polo Nord, ha risposto che erano molti anni che la stava progettando. Una risposta che non soddisfa fino in fondo la nostra curiosità sul perché sia disposto a compiere un’impresa così difficile, faticosa e pericolosa (per la verità il suo sito fornisce qualche indizio in più). Ma da quali motivi è veramente mosso? Cosa motiva un uomo così? Come imparare da storie simili per applicare principi analoghi nelle nostre organizzazioni?

Diversi sono i cambiamenti di costumi e valori che accompagnano i nostri tempi, che uniti all’innovazione tecnologica, stanno modificando stili di vita e di lavoro. Seppure le generazioni si stiano rapidamente alternando, giovani che hanno imparato a giocare con giochi elettronici prima di sapere leggere e scrivere si confrontano con padri, insegnanti, datori di lavoro, per cui il massimo dell’innovazione era la televisione in bianco e nero e la macchina da scrivere elettronica. In una società abbastanza gerontocratica come la nostra, italiana, la maggior parte dei centri decisionali e di potere risente di questa differenza generazionale, con quello che comporta in termini non solo di competenze, ma anche di visione del mondo e di assunti sulla natura umana. Se guardiamo a cosa ci prospetta il futuro ben rappresenta il tema Ignazio Visco della Banca D’Italia nell’ultimo numero de Il Mulino quando illustra come competenze emergenti dl XXI secolo “l’esercizio del pensiero critico, l’attitudine al problem solving, la creatività…”

Sembra però che molte delle modalità con cui sono gestite le organizzazioni oggi sono ancora figlie del fordismo, a quasi ormai cento anni di distanza dalla nascita del management scientifico. Molti processi organizzativi, che hanno come finalità quella di governare la relazione tra individuo e organizzazione e in particolare la motivazione dei singoli, risentono ancora di quella visione del mondo.
Una visione basata su un modello di sviluppo fatto da fabbriche ed operai, che attraversa il pensiero e l’azione manageriale, a partire dalla decisione di Ford di aumentare i salari ai propri operai in modo significativo, al più recente accordo sindacale Luxottica, solo per fare qualche esempio. E’ ancora figlia di quella visione anche fornire l’iPad a venditori e manager (come altre aziende stanno facendo)? E questo aiuta a lavorare di più e meglio?

Tema non nuovo, quello della motivazione, se anche chi costruiva le piramidi, come disse una volta acutamente Chicco Capucci, doveva certamente porsi il problema di come dosare frustate e cibo per fare lavorare schiavi e operai.
Recentemente la questione motivazione è stata riportata all’ordine del giorno dal lavoro di Daniel Pink, in particolare Drive, che ha il merito, a mio avviso, di mettere nuovamente al centro dell’attenzione la relazione tra società, assunti sull’uomo e azioni gestionali. Senza concettualizzazioni particolarmente nuove, basandosi però su studi ed esperimenti, Pink ci induce nuovamente a riflettere su come ottenere impegno ed adesione, tenendo conto sia delle differenze tra compiti, ruoli, organizzazioni, sia di come oggi il mondo stia cambiando e sempre più il differenziale competitivo stia nella creatività e nell’innovazione, più che nella produzione.

E’ soprattutto sul ruolo del denaro e delle ricompense monetarie che il suo sguardo ci sfida a riconsiderare i nostri presunti. Facendoci inevitabilmente porre le domande che ogni esperto del personale spesso si pone: quanto funzionano i sistemi di incentivazione? cosa ottengono veramente? Quanto contribuiscono ad aumentare il valore di ciò che si produce? Come utilizzarli al meglio?
Lo sguardo di Pink è pragmatico e prescrittivo, nello stile americano di chi, individuato il problema, porge anche la soluzione.
Il nostro, più mediterraneo e speculativo, è disposto a sostare di più nell’incertezza e a considerare variabili più situazionali ed anche emotive, quando si tratta di proporre soluzioni. 

Ma su una cosa non possiamo non concordare. Se la natura umana conserva tratti antichi e motivazioni anche semplici, siamo entrati in un’era nuova, digitalizzata, interconnessa, informata. Dove le recenti rivolte in Nordafrica e Medio Oriente sono guidate da giovani che comunicano con Twitter.  Dove convivono piramidi da costruire e imprese innovative e dove l’operaio della piramide moderna la sera, a casa, spesso legge con l’iPad.
Si può non porsi domande nuove per problemi antichi?Si può non chiedersi come ripensare la nostra convivenza organizzativa? Si può non interrogarsi su cosa veramente motiva le persone che lavorano con noi? Al di là degli stereotipi.
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