26 Gen 2009

Risorse umane

Le risorse umane, un fattore chiave per il successo

Quando i managers parlano, discutono o scrivono di Risorse Umane il rischio che spesso corrono e’ quello di scivolare nell’ambito tranquillo e soporifero dei  luoghi comuni,  magari conditi da  slogan  come: “Le risorse umane rappresentano il nostro più importante asset” o “Siamo una società di Persone” o ancora  “We care about our People”. L’esperienza  però mi ha insegnato che i managers si trovano spesso a disagio nell’affrontare questo tema, perché a dispetto delle  frasi sopra citate, le persone non rappresentano una priorità nella loro agenda.


Talvolta questo accade per via dei deficit culturali presenti nel loro sviluppo manageriale. Ma molto più spesso il vero problema risiede nel fatto che dedicarsi alle persone e alla loro formazione è faticoso e richiede molte energie. Il business però è spietato. Quando un fattore chiave per il successo, come quello delle risorse umane è gestito con qualunquismo il conto da pagare è spesso molto salato.

Il famoso triangolo (figura geometrica stabile per antonomasia) che fissa con lungimirante semplicità i tre pillars dell’attività di un manager

  1. definire una strategia
  2. scegliere una coerente struttura organizzativa 
  3. scegliere e sviluppare le persone che dovranno fare funzionare il sistema), 

viene spesso destabilizzato  da una scarsa attenzione alla dimensione che riguarda le persone all’interno della struttura..


Molti managers, infatti, per incompetenza o per disinteresse ritengono maggiormente efficace delegare integralmente la gestione delle persone alla funzione “Risorse Umane” o all’HR Partner di turno. Questo  atteggiamento ha un  impatto fortemente negativo  all’interno delle dinamiche aziendali. Raramente  in uno “strategic business plan” si trovano analisi approfondite dei bisogni relativi alle risorse umane e talvolta il capitolo HR è totalmente assente.

La stessa cosa avviene quando si analizzano le cause dei fallimenti: molti cercano la spiegazione del loro insuccesso sempre in ambito operativo, perché è lì che risiede la loro attività ordinaria ed è da lì che quotidianamente muovono le leve per raggiungere gli obiettivi prefissati. Purtroppo, anche in quest’ambito, la variabile “persone” viene spesso trascurata, proprio perché è un’area difficile e poco conosciuta dalla maggior parte della classe manageriale. Gestire questo terzo pillar del triangolo richiede competenza, passione, interesse per il capitale umano, impegno, studio e approfondimento anche teorico delle tematiche relative alle persone.

Il manager è il vero responsabile delle risorse umane, per cui deve conoscere in profondità i processi che stanno alla base del sistema (processi di assunzione, performance appraisal, grading, analisi delle competenze, gestione dei talenti, definizione dei percorsi di carrriera, formazione, processi di mentoring, gestione degli expats etc.) e deve essere lui e la struttura del management  a gestire l’intero processo di valorizzazione del capitale umano. In questo ambito, non c’è delega che tenga. Serve un impegno costante , una seria e approfondita  attenzione all’analisi dei risultati e chiare decisioni.

Un atteggiamento proattivo in questo senso favorisce la meritocrazia nei processi interni, favorisce l’individuazione dei talenti e rende difficile la formazione di sottoculture all’interno della struttura. Questo  ultimo punto  e’ molto  pericoloso. Se non identificato per tempo, le sub-culture rischiano di  soppiantare la cultura ufficiale che l’azienda vuole instaurare, con impatti negativi ed enormi sul business.

Nel corso della mia carriera professionale ho vissuto l’esperienza di una business unit non propriamente florida e i cui addetti nella performance appraisal, rientravano per il 90 % all’interno del ranking “very high performance”. L’unita’ produceva scarsi risultati ma la maggior parte dei  collaboratori venivano  classificati come superstar! Certamente qualcosa non stava funzionando. Il management, infatti,  considerava il sistema di performance appraisal un fatto burocratico, la cultura del feed-back qualcosa da bypassare, il tutto penalizzando la cultura meritocratica che avrei voluto creare. Cambiai la maggior parte del management. Questo mi servì a lanciare un messaggio importante: la  performance appraisal è una cosa seria, sulla quale, azienda e sottoscritto riponevano forti aspettative e non erano disponibili ad accettare compromessi.

Essere intransigenti nell’attuazione di questi processi è fondamentale per il buon andamento del business. Solo così facendo si definiscono in modo professionale i collegamenti fra l’andamento aziendale e quello dei collaboratori oltre a gettare le basi per un chiaro processo decisionale in ambito risorse umane. In questo modo si riduce il rischio che la  meritocrazia  non venga premiata, che i clan e le cordate interne prendano il sopravvento, che i talenti non vengano scoperti e valorizzati e che le sottoculture soppiantino la cultura aziendale che si vuole ufficialmente  promuovere.

Sono fermamente convinto che, qualora le persone non siano adeguatamente incentivate, motivate, stimolate e valutate, alla fine a soffrirne sia in realtà il business e dunque l’intera struttura aziendale. La peggior situazione che un general manager si possa trovare a dover fronteggiare.

Quali proposte?
La chiave è quindi porre in essere dei processi che consentano di guidare verso la direzione desiderata, consapevoli che questi sono solo uno strumento per ottenere i risultati sperati. Il manager  deve gestirli stando ben attento a non farsi gestire, come spesso avviene.

Con questo non penso alla funzione Risorse Umane come ad una semplice appendice del management di linea. Anzi, al  contrario, le Risorse Umane per svolgere il loro ruolo debbono far parte integrante del business e del suo processo decisionale. Possiamo paragonarle alla funzione dell’olio di un motore: senza di esso tutto si bloccherebbe in poco tempo. Inoltre occorre mostrare passione verso le persone. Non significa essere “buoni” ma capire e far loro capire che sono “il vero motore dell’azienda”.

Essere presenti personalmente, essere disponibili ad incontrare, a sfidare e anche a farsi sfidare. Questo richiede che il manager si apra, diventi trasparente e leggibile nei confronti dei suoi collaboratori i quali, ovviamente, potranno scoprire anche alcune sue debolezze.

Ai manager ”tutti di un pezzo” questo non piace, la loro immagine (ma quale immagine?) ne risulterebbe ammaccata. Meglio quindi tenere le distanze, ritornare in ufficio e consultare le statistiche dei processi e sognare che tutto sia sotto controllo.
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