Motivazioni per andare oltre le competenze
L’implementazione dei modelli di competenze nel nostro paese ha collezionato successi e taciuto fallimenti, o è davvero tutto oro quel che luccica?
Difficile chiudere un possibile bilancio italiano senza tenere in considerazione quanto successo e teorizzato nelle altre economie. In questo contesto ci sembra utile l’ultimo contributo di Ulrich in HR Competencies, Mastery at the intersection of people and business, dove, insieme agli altri co-autori (tra gli altri, Brockbank), Ulrich focalizza l’attenzione in materia di competenze sul dialogo tra ciò che è esterno all’azienda e quanto è interno, e parallelamente – come recita appunto il sotto-titolo – evidenzia una volta di più quanto sia importante parlare di competenze delle persone declinandole insieme a quelle delle organizzazioni cui esse appartengono. Questi ultimi concetti si integrano peraltro con quanto Baruch Lev (oggi anche Copernicus Chair in Economics dell’Università di Ferrara) propone nei suoi ultimi scritti come sviluppo possibile per la nuova generazione di indicatori intangibili.
Intangibili a parte, però, è soprattutto di competenze che consulenti, accademici e professionisti dall’interno di quasi tutte le organizzazioni hanno parlato e discusso per anni: e oggi?

Oggi mi sembra che l’agenda delle competenze non possa più prescindere dai seguenti punti cruciali:

  • ·  Rilevanza delle competenze dette “hard” (o tecnico-professionali) che più direttamente possono incidere sulle performance delle organizzazioni: forse è più socialmente desiderabile – e di fatto così è stato in molti contesti organizzativi – concentrarsi anche sulle soft? Ma siamo sicuri che, in fondo, entrambi i lati della medaglia abbiano (soprattutto per i nostri clienti interni) proprio lo stesso peso?
  • ·    Relazione stretta con altri elementi dei sistemi HR: non è forse più efficace ed efficiente per l’organizzazione e per il business far dialogare da vicino (senza stabilire corrispondenze dirette e univoche) le competenze (hard e soft, dunque) con dimensioni più profonde come ad esempio i valori?
L’applicazione in Brembo in questo contesto prevede la Carta dei Valori integrata al Modello delle Competenze tramite categorie di equivalenza mutuate dal Codice Etico.

·         Parlando in maniera più specifica di competenze dette “soft”, è ora di evidenziarne la componente in divenire abbandonando lo stadio di glossari e/o skill catalogue per delineare veri e propri sistemi dinamici che deliniino le inter-relazioni , le gerarchie interne e la vera natura delle diverse categorie in gioco. Scopo ultimo: creare sistemi che in maniera più efficace rispondano – in modo semplice, ma non semplicistico, e soprattutto realistico – alle esigenze del business.
·         Con particolare attenzione ai processi di valutazione, riconoscimento e incentivazione, è utile neutralizzare competenze amplificatrici di altre (efficacia nella comunicazione e self-management, ad esempio) e isolare e – ancora una volta –  riconoscere nella loro specificità meta-competenzecome la flessibilità o l’adattabilità al cambiamento.
Nel Development Center Brembo, Self-management ed Efficacia nella Comunicazione sono competenze che pesano sempre il 25% in meno delle altre, mentre l’Adattabilità al Cambiamento pesa sempre il 25% più delle altre. Inoltre, durante le prove in cui alle prime due si accompagnano anche altre, le valutazioni finali di queste ultime vengono moltiplicate per un coefficiente di 0,75.

·  Lo sviluppo organizzativo ha più chances di successo se percorre entrambi i binari competenziali: sia quello dei gap da colmare (chiamiamoli pure aree di miglioramento o opportunità di sviluppo, ma sempre di evidenze negative si tratta) sia quello delle chiavi di successo (potremmo dire dei gap in positivo, cioè evidenze positive già consolidate e validate su cui fare leva per un ulteriore miglioramento sia della prestazione sia del set di competenze), partendo dai contributi che già tempo fa avevano sistematizzato sia Vickers (appreciative systems) sia Cooperrider (appreciative inquiry).
In Brembo, nel quadro della gestione della performance, durante la seconda fase – quella di chiusura degli obiettivi e di bilancio della prestazione – le azioni di sviluppo partono, appunto, dai gap negativi (in termini di lacune da colmare) e anche dai gap “positivi” (le leve su cui appoggiarsi per un’ulteriore crescita).

Ora, detto questo, ci resta da rispondere all’ultimo e più disincantato interrogativo: una volta integrate in maniera efficace sia la dimensione delle conoscenze (sempre meno standard e sempre più frammentarie e specialistiche) e sia quella delle competenze (in maniera – abbiamo appena visto – da rendere ancor più integrata e dinamica), quale passo in avanti resta da compiere ai sistemi HR per essere veramente incisivi?
Centrarsi sulle persone, e ancor più sulle loro motivazioni, direi.
Non per rispondere a una certa politically correctness che vorrebbe che strumenti e processi HR centrati sulla persona siano cosa buona e giusta, ma effettivamente perché vanno a sondare e inquadrare uno degli elementi più critici – la motivazione – che permette all’individuo di aderire, allinearsi e contribuire alle organizzazioni in maniera da garantire un maggiore impatto.
Infatti, mappare le competenze di un’organizzazione o di una persona con la massima scrupolosità, rispettando un mix di hard/soft che non prescinda dalla dimensione della prestazione e partendo da ciò che quell’organizzazione o quella persona sa e possiede in termini di conoscenze specifiche, tutto questo, dunque, a cosa serve se non prendiamo in considerazione cosa ancora quella stessa organizzazione o quella stessa persona vuole fare, cosa vuole diventare, che senso vuole dare al suo futuro? La motivazione potrebbe davvero diventare il campo di nostro impegno dei prossimi anni.
Concentrandoci in maniera più specifica su quest’ultimo punto, si pensi ad analisi organizzative (a partire da semplici job descriptions), sistemi di mobilità interna (job posting interno), piani di successione strutturati che tengano conto e si fondino in maniera puntuale e integrata sui drivers motivazionali che sottendono quella posizione, quella famiglia professionale o quel percorso di sviluppo. Attualmente Brembo sta studiando l’integrazione di drivers motivazionali richiesti (to acquire, to bond, to learn, to defend) da ogni specifica posizione, nei requirements indicati dagli strumenti di analisi organizzativa.
Che si tratti di dinamiche push o pull, il fatto che strumenti e processi HR siano basati su conoscenze e competenze, è oggi il requisito minimo. Ma perché siano efficaci, vicini alla realtà e generatori di successo c’è bisogno di un loro allineamento con i progetti per il futuro, con i meccanismi di soddisfazione e con i drivers motivazionali di tutti gli attori in gioco, e in primis dell’organizzazione in sè. Come se la motivazione rappresentasse un’attribuzione di profondità, di un’altra dimensione, dunque, a sistemi ad oggi apparentemente solo bi-dimensionali.


Partendo da McClelland andando subito oltre, allora, costruiamo le nuove forme del contributo HR al successo delle organizzazioni, passando da Csikszentmihalyi, da Lawrence & Nohria (modello dei drivers motivazionali), da Kluger (tecnica del feedforward, coniugata con i 360° e su popolazioni di talenti), dai modelli attitudinali (Vaccani, tra gli altri) o da alcune contaminazioni provenienti da altri ambiti come quelle di Liotti & Tombolini. Strade si aprono davanti a noi: il cammino è appena iniziato.
In merito al tema del feedforward e sulla valutazione quantitativa della sua efficacia in termini di impatto sulla motivazione e aumento della produttività, alla fine del mese di ottobre saranno presentati i risultati delle sperimentazioni Brembo (su gruppi di talenti e con il 360°).
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