21 Gen 2009

Meritocrazia

“Quattro proposte concrete per dare slancio al nostro paese”


Roger Abravanel, nato in Libia ma di nazionalità italiana, ingegnere esperto di business administration, è stato per diversi anni ai vertici di McKinsey, la prima società di consulenza strategica al mondo, occupandosi di aziende italiane e multinazionali in Europa, America ed Estremo Oriente. Ha da poco pubblicato un libro “Meritocrazia, 4 proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro Paese più ricco e più giusto”, prefazione di Francesco Giavazzi (Garzanti Editore), con un obbiettivo ambizioso: proporre un approccio e soluzioni concrete per poter rafforzare la cultura del merito nella nostra società.


Ingegnere Abravanel perché questo libro?
“La ragione è molto semplice. Fondamentalmente avendo girato il mondo, negli anni mi sono reso conto che non ci meritiamo le classifiche che ci collocano sempre agli ultimi posti. Mi sono posto allora la domanda se l’esperienza che avevo avuto negli ambiti aziendali (vale a dire quello che faceva la differenza, era la classe dirigente), potesse essere applicato a tutta la società. Ho fatto due anni di ricerca in vari Paesi del mondo, mi sono documentato molto, alla fine mi sono convinto che è proprio così”.

E quindi la meritocrazia alla fine cos’è?
“Meritocrazia vuol dire che i migliori salgono, indipendentemente dalla loro provenienza, dove per provenienza s’intende una etnia, un partito politico, ma in Italia soprattutto la famiglia e i rapporti, il nome che si porta. Il tema è assolutamente cruciale per il nostro Paese. In alcune società meritocratiche, tipo quella americana o quella scandinava, dalle quali noi non abbiamo nulla da imparare, sono molto bravi a prendere una persona e, indipendentemente dalla provenienza, farla ‘salire’ ai massimi livelli. Noi non ne siamo capaci”.

Perchè?
“Manca un sistema di valori. In meritocrazia sono due: il primo sono le pari opportunità, vale a dire la capacità di azzerare i privilegi di una nascita grazie al sistema educativo. Un esempio è la storia di Barack Obama: proviene da una famiglia poverissima. A scuola era  molto bravo, è stato selezionato con un test (SAT Test di attitudine scolastica per l’ingresso alle università americane). Superandolo ha avuto una borsa di studio ed è stato ammesso ad Harvard: oggi è il presidente degli Stati Uniti.
Da noi questo non esiste. Perché il nostro sistema educativo è iniquo. Le pari opportunità nel nostro Paese si fermano a Roma. Ad esempio i famosi  test Pisa (un programma internazionale dell’Ocse di valutazione degli studenti che utilizza test standardizzati omogenei per confrontare i risultati scolastici di vari Paesi) hanno risultati migliori al centro-nord, pur non essendo esaltanti non sono distanti dalla media europea, rispetto a quelli disastrosi al Sud.  Chi nasce al sud è svantaggiato. E la scuola non riempie questo gap.
Il secondo: nell’economia manca l’essenza di un valore di fondo della meritocrazia: la concorrenza, carburante dello sviluppo economico. Proteggere i consumatori, i clienti, i cittadini invece che le imprese. In Italia questo sistema di valori  non è mai esistito prova ne sia che tutta la nostra economia si è praticamente basata su un’alleanza, una triade che sono le confederazioni le associazioni delle imprese, lo stato e i sindacati a spese dei consumatori e dei cittadini”.

Da dove si comincia per far partire il processo meritocratico?
“Si inizia dal sistema educativo, perno della mobilità sociale. Da noi è iniquo: discrimina tra Nord e Sud e tra ricchi e poveri. Agli istituti tecnici vanno i figli dei meno abbienti e a laurearsi sono i privilegiati a spese dei primi, perché l’università, essendo gratuita, di fatto viene finanziata dai contribuenti. L’Italia non produce abbastanza laureati e quelli che produce non trovano un lavoro adeguatamente retribuito, non fanno il salto sociale che si verifica in altri Paesi, perché la preparazione media non è adeguata alle richieste del mercato. Mancano atenei di eccellenza senza i quali non si crea la classe dirigente e i ricercatori, motori dello sviluppo e della mobilità sociale. Nelle società meritocratiche la scuola invece serve per azzerare i privilegi della nascita: lo Stato ti seleziona, ti manda a scuola a spese sue, indipendentemente dalla bravura e dalle capacità, accedi a buone università, ti laurei, trovi un buon lavoro e sali nell’ascensore sociale, senza bisogno di raccomandazioni”.

Malgrado lo scenario, nel libro Lei mi sembra però ottimista…
“L’ottimismo deriva dal fatto che rilanciare il merito in Italia è possibile. Nel libro ho fatto quattro proposte molto concrete che in realtà  trovano riscontro, perché in Italia ci sono dei ‘semi del merito’ (nelle imprese, nella ricerca scientifica, nella giustizia) che applicano molto di queste idee”.

Cosa prevedono le quattro  proposte?
“La prima: lanciare una delivery unit (unità di consegna) sull’esempio di quella realizzata in Inghilterra negli anni ’90 da Tony Blair per consegnare ai cittadini dei miglioramenti: 50 giovani eccellenti inglesi, guidati da un capo unit, sull’obiettivo di migliorare la qualità e ridurre gli sprechi nel settore pubblico inglese (come riduzione dei tempi delle Tac, miglioramento dei Pisa Test, miglioramento della sicurezza) hanno stabilito obiettivi e misure e aiutato Blair a interagire con i ministeri per definire il miglioramento. In 10 anni la performance dei Pisa test, del Servizio Sanitario e dei trasporti è migliorata.
Questa iniziativa se applicata favorirebbe in molti modi l’avvio di un circolo virtuoso del merito, perché potrebbe anche contribuire a creare ogni anno 1000 nuovi leader eccellenti,  come è avvenuto nel governo di Singapore, il più meritocratico nel mondo, aumentare la fiducia degli italiani nel loro Stato e creare opportunità per migliaia di giovani e donne meritevoli.

La seconda: il sistema educativo. Lanciare una grande iniziativa di testing nazionale tipo Sat americano e di altri test simili di altre società meritocratiche. L’iniziativa permetterebbe ai migliori 10 mila studenti italiani di crearsi la propria università di eccellenza, grazie ad un sistema di ‘buoni’ e farebbe sorgere quella leadership necessaria per rafforzare l’economia e la società.

La terza proposta prevede la creazione di una Authority del merito per liberalizzare e (de)regolamentare i servizi pubblici e privati locali, per combattere le lobby locali.

La quarta consiste in una serie di azioni positive per evidenziare la leadership femminile nel Paese, sull’esempio di quella prevista dalla normativa norvegese che impone un aumento della presenza del gentil sesso nei consigli di amministrazione delle imprese quotate. Va detto che le azioni positive non riguardano le attuali ‘quote rosa’ della politica, ma iniziative che mettano in posizione di vero potere le migliori donne italiane”.


Share
This