La nostra intervista a Pierluigi Celli
Il lavoratore over 50 è una figura sempre più diffusa all’interno delle aziende, per l’allungamento dell’età media, ma, soprattutto, a causa della riforma delle pensioni firmata dal ministro Elsa Fornero, che ha allungato notevolmente la permanenza sul luogo di lavoro dei lavoratori over 50. Una realtà con cui le aziende devono fare i conti, in termini di formazione e riqualificazione. Abbiamo intervistato a questo proposito il professor Pierluigi Celli, Direttore Generale dell’Università Luiss di Roma e manager di grande esperienza.
Come si può motivare in un’azienda questa categoria di lavoratori?
“Non è possibile “motivare” se non si ri-parte da quello che in questi ultimi anni, almeno quindici, si è andato consolidando, come linea di tendenza, nelle politiche del personale: attrazione e fidelizzazione delle nuove leve, complici alcuni modelli tra cui quello delle competenze e dei talenti e fenomeni quali la perdita di valore dell’esperienza, che hanno segnato uno slittamento degli
investimenti a danno di quegli over 50, che abbiamo assunto a riferimento. Una prima indicazione, di tipo operativa, può essere quella di una sana ricomposizione del rapporto tra più e meno giovani in impresa, anche perché l’età, di per sé, non è un discrimine, né positivo, né negativo. Certo, poi, non si può trascurare l’allungamento dell’età pensionabile, che pone l’urgenza di un cambiamento rispetto a questa “marginalizzazione” a cui si stanno condannando, e condanneranno, intere generazioni. Perché niente e nessuno deve essere tenuto fuori in un’organizzazione, se intendiamo ancor riconoscere identità a queste persone, che altrimenti nella loro condizione di “solitudine”, di “emarginazione”, possono “infettare” tutto il corpo dell’organizzazione”.
Quale valore aggiunto possono portare i lavoratori senior?
“Se è vero che il tempo ha perso la sua dimensione di “durata”, diventando una risorsa scarsa, il restituire un ruolo formalizzato di queste risorse ha una funzione di riscatto, oltre che significativo valore organizzativo. Dobbiamo riaprire e dar senso all’orizzonte di questi lavoratori, le cui esperienze accumulate sono un aiuto, soprattutto, a quanti avrebbero un beneficio inestimabile dal poter contare su qualcuno di “esperienza” che consenta loro di “fare esperienze”. Non dirgli cosa fare, ma dare loro da fare. Nella riduzione, e in alcuni casi scomparsa del tutto, di quei primi due/tre anni di formazione dei neo assunti, che consentivano di dare loro l’imprinting, questo prendersi cura, in modalità di tutoraggio e affiancamento, può essere un’opzione praticabile, con reciproca soddisfazione, e legittimando l’appartenenza di diverse generazioni d’età che mai dovrebbero entrare in conflitto l’una con le altre per la salute e benessere dell’intera organizzazione”.
Come organizzare il lavoro degli over 50 e con quali criteri all’interno di un’azienda?
“Una provocazione: gli over 50 non sono, e non saranno in prospettiva, una specie protetta all’interno delle organizzazioni, in virtù proprio dell’incremento della permanenza al lavoro segnata
dalle leggi di riforma del nostro sistema previdenziale. Percorsi di formazione specifici, un’attenzione agli elementi psicologici del rapporto contrattuale con forme d’incentivazione riservata, modulazione orarie dedicate che scardini finalmente la logica della prestazione di tempo e liberi ore preziose da dedicare al self improvement, sono solo alcune delle ipotesi di nuove strategie
organizzative che puntino anche a preparare il termine della carriera. Rispetto a quest’ultima stagione, mi ritorna in mente un episodio, che ho già raccontato ne La generazione tradita: un mio amico, che aveva ricoperto posizioni di vertice in molte grandi aziende, messosi in pensione, ha accettato l’invito a prendersi cura, gratuitamente, dei più giovani, cercando di aiutarli ad avvicinarsi al mondo del lavoro. È difficile capire se sia più felice lui o quanti, oggi, beneficiano della sua esperienza”.